Credetemi, non si possono più sentire le doglianze degli adulti, le loro vanità, le loro nostalgie, i loro pensieri lamentosi. Li vedi impazziti a scimmiottare i giovani, a togliere spazio a loro, a sentirsi “immortali” occupando ruoli, impegni ed ogni altra visibilità che capita loro e già sottratta ai giovani. Oppure li senti e li vedi depressi, lamentandosi che tutto è diverso, che tutto è lontano, che tutto è cambiato e va male. Con la paura della morte, con il terrore della sofferenza, con la follia e la stupidità delle cose che sanno fare da adulti. Così se 30 anni fa la vita per loro sembrava un cammino verso conquiste memorabili, 30 anni dopo fanno i conti e li trovano in rosso. In mezzo ad un peso di ricordi, all’idea vana di cambiare qualcosa, di passare alla storia. Sarà che gli adulti, con gli anni, diventano più pedanti e, non di rado, più pressanti. Li ritrovi esibizionisti o rassegnati. Ci capita di trovarli fiaccati, depressi o troppo distratti da tutto e da niente. Impegnati in frenesie mirabolanti o seduti per ore in disparte. Gli adulti hanno dimenticato la leggerezza della loro prima età quando si giocava con tutto e con niente, quando ogni cosa era una scoperta, una possibilità. Hanno dimenticato la leggerezza e la fantasia che ci faceva inseguire un aquilone fino a sera. A cercarli gli aquiloni oggi: sono scomparsi nelle pieghe di un tempo che sembra essersi perso e perdendosi ha perso tutti gli aquiloni che aveva in cambio di fantasie più ardite e più tecnologiche. Sarà che abbiamo perso forse la capacità di meravigliarci in mezzo a queste strabilianti meraviglie che l’avvenire ci ha portato. Pardon. Anch’io spesso vengo preso dal disincanto. Mi perdo tra pensieri di nostalgia. Il sapore lontano delle cose che furono, di una generazione che è passata dalla prima televisione arrivata nelle nostre case che sembrava già un miracolo al mondo digitale che trova ed unisce tutti. Collegati di notte e di giorno, in auto, a tavola, sul divano e sull’altare. Un mondo che ci ruba l’intimità o, al contrario, ci porta tutti al centro di una piazza sempre affollata, persino di notte mentre tutti si affannano a farsi un altro selfie. Magari migliore dell’ultimo fatto.
Il mondo vecchio è morto e mentre moriva ha generato un mondo nuovo cambiando, all’unisono, i legami umani, i colori delle banconote, la lira in euro, la comunicazione, i vecchi mestieri, il filo in wirelless. Eppure la prima stagione della vita è quella: è rimasta la stessa così piena di scoperte e d’immaginazione per chi al mondo sta vivendo ora la sua prima e vera giovinezza. I giovani ci scrutano, sentono quello che diciamo quando ragioniamo tra adulti, quando ci lamentiamo della salute fisica, quando abbiamo paura di morire per lo stesso brutto male che fa morire decine di persone anche giovani. I giovani ci mettono alla prova. Cercano di capire quale coerenza c’è tra quello che diciamo e quello che facciamo. Aspettano che i nostri proclami per la libertà, l’amore, la legalità, la giustizia, la pace non siano solo belle parole da esibire in pubblico o scrivere sui social per sentirci alla moda, per sentirci fighetti, colti e sensibili che di più non si può. I nostri giovani (figli, nipoti, alunni) capiscono quando fingiamo, quando diciamo le bugie, quando rendiamo il mondo un posto più brutto di quello che trovammo noi alla loro età. Essi sentono il profumo della giustizia e il sapore dell’entusiasmo che la vita sa rendere, che la vita ha con sé.
Sarà per questo che vi chiedo e mi chiedo un favore personale che assomiglia ad un appello: non datevi alla nostalgia! Non lamentatevi in continuazione che il mondo è un posto peggiore, che la politica era più bella e più decorosa prima, che la scuola funzionava a menadito quando voi eravate giovani. Che tutto aveva il profumo di mille poesie quando voi eravate solo poesia. Non datevi a nessuna vecchiaia e nemmeno all’illusione di essere per sempre il centro delle cose e del mondo che abitate. Datevi piuttosto alla saggezza di sapere che la vita ha stagioni diverse, che la giovinezza è nel cuore e nella mente anche quando il corpo ha tutte le rughe, i dolori e le fobie dell’età adulta e persino della vecchiaia.
Quelli più giovani che sono tra noi hanno il diritto all’entusiasmo. Il desiderio di cercare in noi l’arco e le freccia dei sogni che hanno. Hanno l’idea che noi possiamo essere d’incoraggiamento e di sprone. Hanno il convincimento che noi sappiamo farci da parte quando per loro è bene rischiare, imparare a costruire, avere la libertà di sbagliare e di ricominciare. I giovani hanno il diritto di pensare che il futuro possa essere un posto migliore del presente che gli abbiamo fatto trovare. Abbiate la lucidità ed il coraggio di rendere la loro giovanezza una stagione d’entusiasmo, di bellezza e d’immaginazione.
francesco de rosa