Alla fine, come ogni anno, doveva essere una festa nazionale. Di quelle popolari. Di quelle che sono andate perse. Sanremo è stato sempre questo ed è rimasto fedele a se stesso anche in questi ultimi anni digitali: una grande festa popolare della musica, del gossip e delle polemiche come solo gli italiani sanno fare. Ma questa volta, a festival concluso, nulla è andato così né nulla poteva davvero andare diversamente. Lo si sapeva già prima. Lo si sapeva da tempo. Lo avevano scritto e detto in molti con parole diverse ma con la stessa identica forza. Lo avevo sospettato dalla prima serata che ho visto per due secondi. Semplicemente questa volta lo show poteva né doveva continuare. E due showman del calibro di Fiorello e Amadeus non potevano non saperlo. Al contrario. Hanno semplicemente azzardato. Hanno sfidato una tragedia collettiva e hanno perso. Com’era prevedibile. Risultando, in tutti questi giorni, a tratti ridicoli, inopportuni, esagerati. Persino fastidiosi nonostante gli ascolti. Tre giorni fa, a festival in corso, quando proprio gli ascolti calavano, Selvaggia Lucarelli, che non le manda a dire, aveva scritto: «Non si può risolvere questo momento storico con la battuta sui palloncini in platea a forma di cazzo o giocare sulle mascherine o sulla stupidità dei protocolli. O meglio, si può anche fare, ma se c’è dell’altro. L’altro non c’è perché Fiorello e Amadeus – entrambi intrattenitori capaci, per carità – non hanno la profondità per raccontare questa realtà con la grazia e la cultura che servirebbero. Che magari avrebbero avuto un Fabio Fazio o un Paolo Bonolis.»
Ma diversamente da Selvaggia, io credo che nemmeno il miglior Fazio o il miglior Bonolis potevano bastare. Nessuno dei due né altri avrebbero potuto fare di più e diversamete. Non capire questo l’ho trovato irriverente per le centinaia di emergenze che si stanno aprendo in Italia o che si sono già consumate. Per i morti che sono stati uccisi dal Covid. Per coloro, tantissimi, che sono rimasti senza un lavoro. Per le aziende che sono state costrette a chiudere. E siccome nulla ancora, dopo la prima ondata iniziata un anno fa o la seconda d’autunno, sta migliorando occorreva rispetto. Per questo si è trattato di un festival dove è mancata l’empatia tra la festa e la nazione, tra i palco e le case della gente, tra la gara canore e i sentimenti della gente. Non c’è stato nulla di reale dacché nessun momento del festival è risultato sinceramente sintonizzato sulla realtà nemmeno quando si è parlato di Covid o di altro in quei monologhi scritti ad arte per far commuovere la gente. A Sanremo quest’anno mancava il necessario. Mancava il pubblico in sala che per il festival è tutto: un feedback, una parte dello spettacolo, un elemento indispensabile, una cassa di risonanza, la frontiera, il gradimento immediato, la standing ovation, il flop, la meraviglia o la rabbia. Persino una controparte quando arrivano i fischi e le proteste. Sanremo ha costruito la sua storia sulla presenza del pubblico in teatro. Era evidente a chiunque. E, invece, in festival ha fatto finta di nulla. Anzi. Al contrario, Ha riso, ha dato spettacolo, ha mostrato indecenze, vetustà, lo squallore della vanità, la retorica e l’opportunismo. Si è messo in un mondo quello delle arti e dello spettacolo, della musica e del teatro messo in ginocchio in questi mesi proprio dal Covid. Con migliaia di musicisti, operatori dello spettacolo, le maestranze, gli attori, i giovani compositori che fanno sacrifici enormi costretti a stare fermi anche quando il sospetto di provvedimenti alternativi poteva essere preso in considerazione.
Per il festival non ci sono stati, al contrario, argini né ripensamenti. Doveva farsi per rispettare anche (in parte) le previsioni economiche o anche per ridurre i danni (economici) che sarebbero venuti, come alcuno hanno detto, se il festival non si sarebbe fatto. Qualcuno, appena può, ci dirà cosa e chi perdeva in danaro se questo festival non si faceva. Qualcuno ci dirà però anche quale stima si può fare circa il danno umano, culturale, psicologico ed economico che sta subendo, da provvedimenti così rigorosi per così lungo tempo, il mondo delle arti, della musica, dello spettacolo. Così, questo festival passerà alla storia come il peggiore. Come quello del teatro vuoto che, con abilità. dopo la prima sera, le telecamere della Rai non hanno più inquadrato. Passerà alla storia come il festival che non somigliava (né raccontava per nulla) al paese, al mondo questo momento che viviamo. Il festival che doveva essere una festa mentre in Italia, in molti suoi posti, decine di famiglie piangevano morti e l’assenza di un lavoro necessario per poter vivere. Doveva servire a diffondere emozioni che la musica sa donare a piene mani in un momento in cui manca la leggerezza, la possibilità di condividere emozioni che non siano quelle, tutte negative, che ci hanno cambiato la vita e offuscato l’orizzonte d’avvenire. Chi ha visto Sanremo 2021 non aveva la testa né alcun plausibile motivo per festeggiare qualcosa. Per questo, alla fine diremo che, fortunatamente, Sanremo è finito e nessuno se ne accorto dacché per la maggior parte degli italiani (me compreso) il festival, quest’anno, non era mai cominciato.