Non vogliamo e non sappiamo invecchiare. Nessuno vuole farlo. Tanto che dire “vecchio” è diventato quasi un insulto. E quando accade che si è vecchi davvero ci si ribella, ci si lamenta di ogni acciacco, di ogni piccolo dolore. Si ingigantiscono sofferenze inesistenti fino a deprimersi di senilità. O si affrontano con drammi dirompenti tutte le degenerazioni che il corpo arriva a subire con l’età. E se ancora in vecchiaia abbiamo forze non facciamo spazio ai giovani di cui ci beiamo di dire cose belle ma, in fondo, sappiamo che non abbiamo voglia di fare spazio a nessuno in nessun ambito da noi abitato per una vita. Che sia lavoro, politica, visibilità sociale. Senza pensare che coloro che non sono riusciti ad invecchiare sono andati via dalla vita troppo presto. E che quindi invecchiare è sempre una grande fortuna. A patto che lo si sappia fare e che lo si faccia bene. Perché il tempo della vecchiaia deve avere altri orizzonti, altri compiti, altre modalità di stare al mondo: persino la capacità di saper rinnovare in altro modo quel che si è stati in giovinezza per riuscire a rinascere da vecchi. Che piaccia o no si tratta di una legge della vita da quando l’uomo è al mondo che abbiamo del tutto dimenticato. Sarà forse colpa del tempo presente che relega i vecchi nello spazio della nostalgia e dei ricordi, dei posti d’angolo senza più ruoli sociali. Ci stiamo illudendo con il progresso che la vita si è allungata e l’illusione dell’eterna giovinezza si è fatta davvero concreta. Ma…
In fondo, da sempre, essere vecchi è stata una fortuna. Significava, allora come ora, aver vissuto. Per questo nel passato di tante nostre civiltà e posti del mondo, gli anziani della comunità si rispettavano come saggi e l’organo politico denominato Senato, istituito in epoca romana, ebbe il suo nome da Senex, parola latina, che connotò l’assemblea di anziani che ha determinato la vita e i regolamenti di tanti senati delle democrazie moderne. Compreso quello italiano. Poi siamo andati inesorabilmente verso altri modelli dapprima tutti presi dalla letteratura. Il calice con dentro l’Elisir d’eterna giovinezza viene da lì disponibili persino a cedere l’anima al diavolo come nel Faust di Goethe. Che nemmeno fuor di letteratura nessuno di noi avrebbe alcuna remora a farlo poiché da quando nasciamo, pur sapendoci mortali, ci portiamo dentro, quasi fosse una maleficio atavico, lo spettro ancestrale della vecchiaia e della morte.
Sarà il nostro innato narcisismo, la voglia di esserci sempre e sempre in azione, pensandoci eterni, che ci corrompe illudendoci che soltanto la giovinezza è l’unico vero valore dell’esistenza in grado di assicurarci la felicità. Un’illusione che ha un tale portato da deviare, inquietare e persino alterare menti di ogni età a compiere finanche gesti assurdi. Intanto ciò che un tempo sembrava solo la suggestione di un testo letterario lontano dalla realtà è arrivato a soccorrere e supportare l’idea che ci sia un’eterna giovinezza la tecnologia, l’intervento chirurgico e quello estetico, l’efficienza e la presenza fino all’ultimo giorno di vita se la vecchiaia non lo impedisce.
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Spendiamo cifre enormi per le creme anti-età come per gli interventi di chirurgia estetica che attraggono oggi pazienti sempre più giovani. E chi non può spenderle perché non le ha cade nell’abisso della tristezza e della depressione tanto che ogni giorno diventa un lamento per ogni cosa. Il popolo del web intanto è stritolato dall’ansia continua di modificare le foto che posta per apparire eternamente giovane. Nessuno di loro tanto diverso da Dorian Gray, protagonista del romanzo di Oscar Wilde. E se prima c’era chi si faceva dipingere un quadro dal volto più giovane, oggi c’è chi utilizza tutti i filtri dei social che ha a disposizione per avere di sé e pubblicare il viso migliore per apparire. Così mentre sogniamo di diventare eternamente giovani ci siamo dimenticati che abbiamo un inizio quando nasciamo e una fine quando moriamo: tutti allo stesso modo. Tutti senza nessun appello ulteriore. “Quant’è bella giovinezza che si fugge tuttavia!” scriveva Lorenzo de’ Medici consapevole che il tempo scorre inesorabile e che non si può tornare indietro. Ma da quegli anni sotto il cielo degli umani l’illusione si è fatta più pressante e più forte. Tanto che persino un “vecchio” come è oggi Francesco Bergoglio, che a 87 anni è papa a Roma, si affretta a dire che la missione spirituale e culturale della vecchiaia è quella di sfatare “l’illusione tecnocratica di una sopravvivenza biologica e robotica”, e di aprire “alla tenerezza del grembo creatore e generatore di Dio”. Che il vecchio cammina in avanti, verso l’Eterno e si prepara alla “nascita dall’alto”, una “generazione nello Spirito” che “ci consente di ‘entrare’ nel regno di Dio”. Ma nulla di quello che ha detto sembra aver presa sui vecchi di oggi.
C’è da scommettere che in futuro sarà sempre più difficile. Che se in tanti, (compresa mia madre e alcuni miei carissimi amici) oggi non sanno invecchiare, e si lamentano, e sono cupi nel cuore, e sono così iperattivi che non vogliono fermarsi più, nel futuro la vecchiaia sarà messa sempre più al bando da coloro che si sono troppo illusi. Rapiti dall’idea che prima o poi arriverà l’eterna giovinezza e tutti avranno modo di essere eterni, di avere la stessa forza, la stessa identica energia che abbiamo da ragazzi quando la vita ancora immensa e misteriosa sta tutta davanti a noi.