Lo aveva già individuato Albert Einstein: che dell’entanglement quantistico è come una “azione spettrale a distanza”, il fenomeno in cui due particelle diventano così intrinsecamente legate che lo stato di una influenza istantaneamente lo stato dell’altra, indipendentemente dalla distanza che le separa. Questa proprietà, finora osservata principalmente a livello subatomico, potrebbe, secondo i ricercatori, giocare un ruolo cruciale nel funzionamento del cervello. Ne ha scritto e parlato, con estrema dovizia, Gianluca Riccio, direttore creativo di Melancia adv, copywriter e giornalista. Che fa parte di Italian Institute for the Future, World Future Society e H+. Dal 2006 dirige futuroprossimo.it , la risorsa italiana di Futurologia. Ma è anche partner di Forwardto – Studi e competenze per scenari futuri.
Ad osare tanto, osservati proprio da Gianluca Riccio è stato un team di ricercatori cinesi che ha recentemente gettato luce su una possibilità immensa. «Nel suo studio ricostruito da Gianluca Riccio – il team di Chen ha focalizzato l’attenzione sull’interazione tra le guaine mieliniche, che rivestono le fibre nervose, e i fotoni prodotti all’interno del cervello. Secondo i loro calcoli, quando fotoni infrarossi collidono con una guaina mielinica, modellata come una cavità cilindrica capace di immagazzinare e amplificare la radiazione elettromagnetica, si verifica un fenomeno interessante: la guaina emette due fotoni in rapida successione, e molte di queste coppie risulterebbero entangled, legate l’una all’altra». Se così fosse questa teoria arriva a spiegare come ed in che modo parti considerate “distanti” del cervello comunicano così rapidamente. Chen inoltre porta luce sulle proprietà del entanglement quantistico e sulla possibilità che questo meccanismo potrebbe essere identico anche per trasmettere ad altre parti dei neuroni, che così diventano “pori proteici” coinvolti nella segnalazione elettrica. In questo modo la sincronizzazione diventa molto più rapida rispetto a qualsiasi altro tipo di connessione conosciuta. la “ratio” si basa sul convincimento che il modello si fonda su fibre nervose che generano coppie di particelle quantisticamente legate.
La teoria è certamente di frontiera ma la sola ipotesi da diritto a pensare che se confermata stravolgerebbe tutto ciò che si sapeva fino ad ora del cervello. Persino sulla natura della coscienza e sulla linea di confine tra il mondo quantistico e quello macroscopico. Una carica di entusiasmo che certamente fa presa su eminenti rappresentanti del mondo scientifico. Accanto a loro ci sono molti altri ricercatori che preferiscono restare cauti. Tra questi certamente Bo Song che lavora all’Università di Shanghai e si occupa di Scienza e Tecnologia. Ma c’è anche Yousheng Shu dell’Università Fudan. Nonostante entrambi coinvolti nello studio, essi hanno ritenuto prematuro introdurre già ora l’entanglement quantistico nelle neuroscienze dacché per loro esso “è di natura piuttosto speculativa”. Ciò che frena è che, prima di affermare che il cervello sia una sorta di super computer quantistico serve un bel po’ di lavoro, occorre trovare conferme e in questo tipo di ambito la sfida principale andare oltre la verifica sperimentale di questi fenomeni quantistici in un sistema biologico così complesso come il cervello umano. Non a caso sia Chen che il suo team sono consapevoli delle difficoltà che li attendono. In ogni caso rimane la volontà forte ad andare fino in fondo. Sullo sfondo la prossima fase della loro ricerca. Si concentrerà sullo studio teorico di come l’entanglement quantistico potrebbe influenzare le funzioni cerebrali. “La mera esistenza di fotoni entangled nel cervello non prova, di per sé, che essi guidino la sincronia di milioni di neuroni” ha affermato Chen stesso. Ma che questo accada non lo possiamo affatto escludere. Anzi. La stessa idea che fenomeni quantistici possano giocare un ruolo nel funzionamento del cervello non è affatto nuova. Piuttosto la vera novità di questa ricerca è che essa offre un vero e proprio modello matematico che è concreto e adatto ad esplorare questa possibilità. Il confronto aperto sul tema della “cognizione quantistica” è appena agli inizi. Occorre ora che la sfida per il futuro possa trovare nuovi modi per testare queste teorie sperimentali per colmare così anche il divario tra la fisica quantistica e le neuroscienze. L’azzardo della ricerca sull’intersezione tra meccanica quantistica e neuroscienze continua e l’obiettivo dichiarato è quello di sfidare tutti i preconcetti sulla natura della realtà e della coscienza per capire, forse, che alcuni dei segreti più profondi dell’universo vivono dentro di noi da sempre.