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Avevo in mente da un po’ di scriverti una lettera. Volevo fosse persino uno dei miei prossimi libri ad avere questo titolo: “Lettera a mia madre sulla felicità e sulla vecchiaia…”. Che forse avrà e conterrà anche queste righe. Sarà una sorta di viatico attorno a due temi che sono trame nella vita di ciascun essere umano da quando viene al mondo.
Molti cercano la felicità tutta la vita e non la trovano. Altri ci passano accanto e non la riconoscono. Altri la scambiano per altro e sono convinti di possederla. Ma d’improvviso svanisce e svela il volto suo recondito dell’infelicità. Molti vanno via troppo presto e avrebbero voluto invecchiare per vivere più a lungo. Altri arrivano alla vecchiaia vivendo a lungo ma si lamentano molto una volta che la vecchiaia diventa la loro stagione di vita ben sapendo che tutto ciò che passa e vive invecchia tutto e tutti. E che tutto ciò che nasce è destinato a morire. Si tratta di una legge della natura a cui, per fortuna, nessuno può sottrarsi. Ne fanno buona lezione i poeti, gli artisti, i viaggiatori, i sognatori e i saggi che vivono ogni istante e fanno vivere tutto ciò che dal passato diventa linfa di vita dentro di loro. I prepotenti, gli impazienti e gli arroganti invece non vedono da nessuna parte poesia e giudicano la vecchiaia una condanna ed una pena, un lungo travaglio che li fa lamentare di ogni piccola cosa che la vecchiaia porta con sé. Tu, che stai avendo la fortuna di invecchiare. Puoi essere tra i poeti, gli artisti, i sognatori e i saggi ed apprezzare ogni istante che hai come fosse un inno alla vita. Oppure essere tra gli impazienti e gli arroganti che si lamentano della loro condizione di senilità. Dipende solo da te.
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Mentre ti scrivo questa lettera tu sei già andata a letto da un po’. La sera, da quando hai 76 anni e più, preferisci andare a letto molto presto per poi svegliarti, che tu lo voglia a no, nel cuore della notte per una necessità, un peso sui pensieri, un piccolo dolore fisico. Di questa lettera vorrei farti dono non per cedere alla facile retorica, a quel senso patetico che tutti i consanguinei hanno. I figli verso i genitori, i genitori verso i figli o i parenti più vicini. Dovremmo ispirarci a tanta lucidità per rimproverare o, al contrario, elogiare noi stessi e i nostri simili a noi più prossimi. E persino i nostri consanguinei. Certi elogi sono dolcezze che andrebbero custodite dentro di sé. Dovremmo tenerle strette il più possibile. Che poi forse la vita le mette in fila, le fa intravvedere a qualsiasi età a tutti coloro che hanno il pregio di conoscersi bene e per davvero. Non cedere all’elogio facile e smodato verso di noi e verso gli altri ma nemmeno al rimprovero di sé e degli altri che diventa tormento, senso di colpa, peso greve, scontro e, persino, impedimento a vivere.
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In questa stagione della tua vita e della mia, per la cura e l’attenzione che occorre avere con le persone che invecchiando diventano più fragili e intolleranti, quando vengo a casa tua cerco di praticare tutta la pazienza che posso avere davanti alle tue insofferenze che ti dà l’età senile e la fragilità del corpo e della mente. Ad un certo punto i figli diventano i genitori dei propri genitori ma debbono essere in grado di farlo. Anche nel caso in cui hanno dimenticato del tutto la pazienza che occorreva avere quando i loro genitori si impegnarono a farli diventare adulti negli anni in cui loro erano ancora dei bambini.
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Mia cara ed impaziente madre, a chi ti osserva ora e ti commenta con gli acciacchi dei tuoi 76 anni dico che appena qualche anno fa non la facevi buona a nessuno quand’eri sul fronte della vita attiva e combattiva. Sopra quel confine che gli accadimenti ti hanno fatto travalicare tante volte da quando avevi poco più di dieci anni e rimanesti senza padre costretta a lavorare troppo presto che avevi la tua di mamma con più di sessant’anni già vissuti. Lavorare in fretta e presto per essere utili alla causa della propria casa era il destino della tua generazione, quella nata subito dopo l’ultima guerra mondiale, in mezzo ai tempi e ai temi della ricostruzione, della ripresa economica, dei tabù sulla vita affettiva, del comunismo che si opponeva e coabitava con il bigottismo dei clericali, con le ideologie che hanno ingabbiato per decenni intere generazioni in milioni di schemi. Del lavoro al sud che si stentava a trovare. Tu lo trovasti nell’unico modo in cui lo cercavano decine di ragazze giovanissime: imparare un mestiere che una ragazza poteva fare ovunque si fosse trovata. Imparasti il ricamo, a cucire le asole dei bottoni e poi gli abiti da sposa e da comunione e ne facesti il tuo mezzo di sostentamento. Il lavoro lo hai onorato come pochi altri per interi decenni. Anche quando hai fatto, nel frattempo, la cuoca al convento che è nel tuo quartiere di nascita. Mai smettendo, nel frattempo, di sederti davanti alla tua macchina per cucire. Sei stata creativa, impegnata, abitudinaria, instancabile, imprevedibile, sottopagata e sfruttata sin dalla prima giovinezza. Persino svilita e privata degli anni di previdenza che avresti dovuto avere e che, invece, da quando avevi vent’anni non hai avuto per la colpa grave di chi ti ha tenuto a lavorare per anni in nero. Ma tu non ti sei arresa né spaventata nemmeno il giorno in cui, a vent’anni, mi facesti venire al mondo nonostante le difficoltà, gli ostacoli e le delusioni. Così iniziasti a fare la spola quotidiana tra il centro storico di Napoli ch’era a piazza Mercato e la casa dei tuoi e dei miei natali. Quando a sera tornavi ricominciavi a cucire fino a tardi per straordinari fatti a casa che ti venivano rigorosamente sottopagati. Tutto il decennio degli anni settanta, in mezzo alle turbolenze politiche e sociali che visse il resto dell’Italia, tu accettasti la sfida di farmi crescere, di farmi studiare presso la scuola delle suore domenicane che riuscirono ad arginare, almeno in parte, le mie infinite turbolenze e, persino, una fuga dalle loro aule di buon mattino che feci un giorno di marzo che avevo solo 7 anni. Di quei tempi l’immagine più bella che conservo di te come fosse ieri è quella che ti ritrae davanti alla tua macchina per cucire che avevi ed hai ancora a casa. Il pane quotidiano veniva da lì assieme al pane vero che mangiavi a cena quando smettevi la sera tardi assieme ai titoli di coda sulla tv in bianco e nero di film girati in America e amati da mezzo mondo. Il vecchio west o gli amori di Gary Cooper e Gregory Peck che fece persino Vacanze Romane con Audrey Hepburn. Amavi quei film ed io li vedevo con te ch’ero ancora un bambino restando sveglio fino a tardi per stare un altro poco assieme a te poiché il giorno seguente saresti stata tutto il tempo a Napoli a lavorare ed io tra scuola e strada seguendo sogni e scorribande.
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Assieme abbiamo superato molti ostacoli, mia cara madre, e assieme ne siamo usciti. Mi hai supportato. Ti ho supportato. Ci siamo imbattuti in litigi animati per il tuo carattere e per il mio. Ma poi ci siamo sempre ritrovati. E mi ha dato tenerezza ogni volta, persino ora che vivi la tua età senile o la vecchiaia come la chiami tu, saperti senza gli abbracci che fanno bene al cuore, che danno un po’ di forza ed un motivo per andare avanti. Ti hanno dato amicizia le tante persone a cui hai dato amicizia e la tua proverbiale generosità. Che anche quando alcuni ti hanno deluso non hai voluto esaltare solo le loro miserie. Perché la vita di tutti e quella del mondo è anche miseria umana. Quella davanti alla quale, invece di inveire, abbiamo preferito e preferiamo cambiare strada. Nessun teatro ci piace, nessun finto buonismo o ipocrisia. Questa lezione l’ho appresa anche da te da quando ero piccolissimo. E quantunque ora sei più polemica verso le cose che vivi e coloro che ti deludono io resto muto per non profittare degli errori altrui e dei tuoi che nascono ora da tutte le tue fragilità e vulnerabili impazienze.
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“Ognuno sta solo sul cuor della terra, trafitto da un raggio di sole: ed è subito sera” ha scritto il poeta Quasimodo. Accade a tutti, mia cara mamma, e accade di più quando nella vita diventiamo vulnerabili, quando la vecchiaia ti attraversa e quel che può accadere ti spaventa. Ma vulnerabili si può essere ad ogni età e in modi diversi. Nessuna stagione è davvero al sicuro. C’è chi lo è già a vent’anni, chi a quaranta, chi alla tua età molto di meno o molto di più. Nella mia invece, per come ci sono arrivato, mi porta chiarore Maestra Filosofia, le cose che ho visto, i libri che ho letto, quel caleidoscopio di tutte le vicende delle quali negli anni ho preso appunti. Ciascuno di noi, in fondo, è tutte queste cose messe assieme. Il valore che abbiamo, le cose che scegliamo e riusciamo a fare, ciò che capiamo del mondo dipende da tutte queste cose. Essere una grande persona o un miserabile dipende esattamente dal discernimento che ciascuno riesce a fare dacché nessuno si inventa da solo e nessuno può fingere oltre il tempo del suo disvelamento. Anche la felicità dipende da tutto questo. Dalla capacità di andare oltre la stessa angoscia di cui la condizione umana è anche fatta. Parliamo da secoli di quello che sia davvero la felicità e in cosa consiste concretamente. Ma da secoli, per fortuna, nessuno può dare la risposta definitiva. Abbiamo il vizio, sempre più forte di non saperci accontentare del poco perché cerchiamo altro. E altro ancora. Pensiamo sovente che siamo fatti per accumulare danaro e ricchezza e che queste cose possano metterci al sicuro. Quando poi ci accorgiamo che alla fine della vita nessuno ha mai portato con sé nemmeno l’ombra delle ricchezze che ha accumulato in vita è già troppo tardi. Dovremmo lavorare per il necessario e divertirci provando leggerezza ogni giorno anche sui luoghi dei nostri stessi lavori. Provare la gioia e la felicità di contribuire a qualcosa di utile e di bello. Ma spesso non sappiamo farlo e viviamo le nostre età come gladiatori impegnati a lottare in mezzo all’anfiteatro della vita.
Con il tempo, sai, ho capito che l’esistenza umana mi ha dato la fortuna di coltivare molte più domande che risposte e che questo è forse il segreto di ogni giovinezza che vive l’intelletto di chi custodisce e conserva la curiosità. Evitare con gioia le montagne di nostalgia per le cose che sono già state o che non sono state sotto le quali molti restano sepolti ed impediti a sognare e a cercare futuro. Ciò che di bene o male è stato vive in noi e nessuno lo cancella. Tutte le cose che non sono state erano solo alternative possibili vissute poco o tanto tra i nostri pensieri. Ciò che invece sarà merita accoglienza e la gioia di essere grati alla vita se ancora ci custodisce. Un strada impervia e retta sospesa sopra un fragile equilibrio del quale nessuno può farsi maestro. Della vita si resta, per fortuna, sempre e solo alunni anche a cent’anni. Lungo quell’equilibrio basta un errore e tutta la bellezza può diventare un incubo. Ma chi non ne fa di errori, mia cara mamma? Per questo ti auguro di rimanere della vita sempre tra le alunne sue più vivaci.
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Abbiamo attraversato gli anni turbolenti della mia prima giovinezza e della tua distanti di soli vent’anni: quelli che passano dalla tua età alla mia. Una distanza che per decenni mi ha illuso di non vedere in te mai i segni della vecchiaia ma sempre e solo quelli della ragazza che ho visto per anni. Non è stato così. Non poteva essere così. La vera giovinezza, lo sai, resta dentro soprattutto nella stagione in cui la vecchiaia presenta tutti i suoi conti. E ti fa ridiventare anche nuovamente bambina. Per questo ti ripeto, da qualche anno, che invecchiare è quel lusso che devi custodire con cura soprattutto quando pensi ai nomi di quell’elenco sempre più lungo di persone che ci sono state care e sono andate via troppo presto. Quelle a cui abbiamo voluto un gran bene finché sono state tra noi. Tu devi onorare con la forza e la luce della vita che hai anche chi la vita non ha più. Questa lettera ha motivo anche per questo. Come se per cent’anni io ti potessi dire sempre le cose che tengo più a cuore.
La bellezza degli anni che passano…
Con gli anni, lo sai, arriva più saggezza per coloro che sanno ascoltare il rumore del vento. E vedono il colore delle parole. E fanno caso alla vita che palpita nell’universo. E sanno che tutto viene da un mistero e tutto va verso un mistero. Quando arriva più saggezza devi fare solo quello che ti piace fare. Nessuna forzatura, nessun copione da recitare, nessun idiota da sopportare. Noi siamo stati, da sempre, del tutto liberi e lo saremo per sempre. Impediti per questo ad obbedire al comando. A dire ciò che non pensiamo. Ed io ti ho ammirato da sempre anche per questo. Intanto se la vecchiaia fosse un espediente inevitabile dovremmo augurarlo a tutti perché solo attraverso di esso la vita può avere il suo seguito. Magari pensare che si può invecchiare con amore e gratitudine ringraziando Dio che ci dà vita senza mai averlo incontrato, né tu ne é io, per tramite umano nei riti di qualche chiesa. Ma sempre e solo in mezzo alla sofferenza della gente, alle pieghe della vita, ai suoi risvolti, al patimento dei giusti, alla bellezza di un’alba o di un tramonto. In mezzo a chi vive con la fatica e la dignità del proprio lavoro nel perfetto anonimato che deriva dalla volontà di non voler stare al di sopra degli altri.
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Mia cara mamma, l’età senile che ora vive in te, ti offre ogni giorno nuove lezioni di vita. E tu che sei rimasta la sua alunna prediletta perché non hai mai avuto la tracotanza dei potenti, tu, puoi davvero ridiventare bambina, farti piccola piccola, camminare lentamente, reggerti su qualche supporto dopo qualche caduta che ti ha fatto spazientire e lamentare dalle prime luci dell’alba fino a sera.
Io ti esorto affinché più che trovare disdicevole gli acciacchi della vecchiaia che hai la fortuna di vivere tu possa esaltare la vita che è in te, ciò che hai vissuto, hai costruito attraversando gli anni. Assaporare la gratitudine che ti esprimo per aver sostenuto da ragazzo i miei studi con il lavoro delle tue mani, avermi consentito di attingere da Maestra Filosofia la sensazione definita che dal buio possiamo trarre luce, dalle tenebre il giorno nuovo che nasce. Che esiste l’eterogenesi dei fini. Che tutto il chiarore del primo mattino non è vana speranza. Che tutto il ciarpame del genere umano è solo di passaggio. Si tratta dell’epilogo di ogni cosa. Abbi fede e pazienza, mia cara mamma, che tutto il mistero che ci pervade sarà presto svelato comunque vada a finire e svelati saranno anche tutti gli altri misteri che la condizione umana ci fa vivere. Tieniti aggrappata a me finché puoi e alle mie mani nei giorni in cui ti senti più debole o più stanca. Senza accusare nessuno. Senza rimproveri, lamentele, ire o altro né contro di te, né contro me o altri. Quando la giovinezza, che è anche leggerezza, ritorna davvero nella mente nessun acciacco potrà più rendere cupo il viso o l’anima tua. Nemmeno la vecchiaia che la vita ti sta portando assieme ad un’altra piccola porzione di felicità. Se sai riconoscerla e farle un altro po’ di spazio accanto a te.
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