Mi avete stufato con la retorica del femminicidio. E, se mi leggerete, vi spiego perché…
Sia chiaro, per non prendermi gli insulti da nessuno e non iniziare male questo brevissimo viaggio d’intelletto, spero, potrà essere utile dirvi in quanti e quali modi si sta facendo una grande e beata retorica sul tema del femminicidio. Una retorica che non serva a nulla. Anzi, al contrario, innesca un conflitto di genere ancora più aspro ed infinito rischiando di aumentare sempre di più proprio le morti di donne ammazzate da maschi molto più criminalizzati che criminali. Tutto il mio rispetto per la storia personale di Rule che a Sanremo 2020, con un lunghissimo monologo di matrice araba dove la donna è sottomessa, ha fatto gioire in tanti ma ha fatto anche ampliare lo spazio nel quale, dentro il tema del femminicidio, si nascondono centinaia di donne volubili, aggressive, che giocano con i loro figli privati da loro dei padri e sfruttano i loro ex mariti. Che mentono, recitano e sono assassine senza il minimo scrupolo.
Che io sia una voce fuori dal coro di chi specula sul tema del femminicido non mi sorprende se ascolto, raccolgo e riporto le tante voci indignate, identiche alle mie, dei tanti uomini che, in realtà, non denunciano né trovano spazio in un monologo di Sanremo, o sui giornali, tra le leggi italiane o nei tribunali, in politica e nemmeno tra i tanti colleghi giornalisti maschietti che fanno i “femminicisti” perché fa più audience. Dentro il tema del femminicidio, termine “deviante” e subdolo che provoca, paradossalmente, la morte di sempre più donne tutte le volte che quel tema si usa o di esso si abusa, abbiamo messo in pace la nostra coscienza, il nostro modo miope di guardare al problema della violenza di genere.
L’utile ed ampio viaggio che ho fatto in giro per l’Italia lo scorso anno quando ho scritto il libro/inchiesta “Le donne assassine”, che già nel titolo aveva una sua dichiarata e leale provocazione, mi è servito a confermare molte cose. Capire meglio e più a fondo, la storia di tanti padri messi in povertà, uccisi nell’anima, osteggiati, fatti condannare ingiustamente, usati come bancomat, offesi e resi ridicoli, portati alla disperazione e privati di ogni dignità. Un viaggio che è andato ben oltre la mia stessa singolare, allucinante e concreta esperienza di padre negato, vessato e vittima di un sistema e di persone delle quali ho raccontato nel libro stesso con dovizia di particolari.
Noi chiamiamo femminicidio la morte violenta di una donna per mano di un uomo. Non bastava il termine omicidio che nella sua radice semantica latina aveva ed ha il maschile e il femminile. Noi (voi) avete voluto esaltare quella che ritenete sia la forza bruta e fisica che, per antonomasia, è solo dei maschi, secondo il luogo comune. Abbiamo (avete) voluto amplificare quella inclinazione che, con l’abuso del termine, è diventata l’icona di tutto il male e, peggio, di tutto il criminale che vediamo nella figura maschile che sia padre negato, ex fidanzato respinto, ex marito o amante. Per comodità mentale, mediatica e politica mettiamo decine e decine di morti, tutte, sotto lo stesso elenco per la gioia delle ex femministe, delle donne pasionarie, di chi si scoccia di fare le differenze e di chi non vuole capire di più. Di chi fa finta che tante altre morti diverse di uomini non contino a nulla e non siano legate al rapporto sbagliato e squilibrato tra uomo e donna. Il tema è antico e ne hanno discusso, anche nel mio libro/inchiesta, studiosi assai stimati, intellettuali, avvocati matrimonialisti noti, criminologi, psicologi, magistrati e qualche politico che non deve simpatizzare con i luoghi comuni. Ma la tendenza non cambia. Ci (vi) piace parlare sempre e solo di femminicidio.
Così che le morti accertate di tanti uomini che si sono suicidati per disperazione e per non diventare assassini al cospetto delle loro ex mogli avide e cattive per noi (voi) non contano nulla. E non contano nulla le leggi italiane sbagliate che considerano, ancora oggi, il “sesso debole” quello femminile e la madre una figura genitoriale più importante di quella maschile.
Per il luogo comune, nella dinamica sociale, familiare ed umana, la vittima è sempre la donna e il carnefice sempre l’uomo. Uno schema che non cambia da millenni. Che non si cura dei cambiamenti sociali che l’Occidente ha affermato. Che non vede, finalmente, la parità di fatto che le donne hanno rivendicato ed ottenuto. Che fa gioco perché è più convincente ma fa anche più vittime perché criminalizza, aiuta le donne peggiori e fare le cose peggiori dentro le mura domestiche.
I monologhi sul femminicidio, le panchine rosse, i film dedicati alla violenza maschile sulle donne, i convegni a tema unico, persino, i corsi di formazione dei giornalisti non li fate sempre e solo dalla stessa angolazione, su gli stessi temi. Se continuate così farete solo il gioco di quei maschi assassini e delle donne senza scrupolo che sono, come e più di certi maschi, assassine anch’esse anche quando non uccidono con le loro mani. Io ho imparato, a mie spese, che le uniche donne a cui interessa risolvere davvero il problema della violenza di genere sono sempre accanto agli uomini. Sono loro alleate e della retorica, dell’uso e dell’abuso del femminicidio pensano il peggio. E so che centinaia di uomini, che non sono stati mai violenti verso nessuna, subiscono, nelle loro vicende private, le peggiori angherie da certe donne ma sono sempre pronti a difendere chi tra loro lotta per lo stesso fine. Senza classifiche più o meno soggettive, senza il condizionamento di ciò che hanno subito di persona, senza nessuna voglia o sete di vendetta.
Con l’auspicio che questo spot che qui vi propongo sia di supporto e possa farvi vedere un problema immane da altra angolazione.