A leggerla così sembrerebbe il pensiero di un fervente religioso che vuole aggrapparsi a Dio ad ogni costo. Se non fosse che in questi giorni di emergenza mondiale legata al coronavirus persino i ferventi religiosi hanno difficoltà a pensare alla “mano” di Dio nella storia del mondo. Come accade in ogni catasfrofe. E, invece, Enrico L. (Henry) Quarantelli, nato negli USA il 10 novembre 1924 e morto il 3 aprile 2017. Vissuto lì dove ha indagato e scritto secondo sociologia del quale è stato l'”inventore” di una parte, a molti ignota, definita “sociologia delle catastrofi o del disastro”. L’ho scoperto l’altro giorno, mentre attraverso il distanziamento sociale a cui siamo stati chiamati, grazie alla prima buona notizia del giorno che Gabriele Romagnoli su “Repubblica” scova (e non è affatto facile in questi giorni) per condividerla con i suoi lettori.
E la sua prima cosa bella di lunedì 16 marzo scorso era proprio il teorema di Quarantelli che Gabriele Romagnoli ha provato a sintetizzare nella formula: peggiore è la situazione, migliori diventano le persone. Gabriele sottolinea come possa essere insolito il teorema per “un sociologo americano, specializzato nello studio delle reazioni ai disastri”. E ripercorre le tappe degli studi che Quarantelli decise di fare. “Iniziò con un tornado in Arkansas nel 1952 e proseguì con dozzine di casi”.
“Fu dopo il grande terremoto in Alaska del 1964 che, – nota Gabriele Romagnoli – avendo notato le stesse condotte ricorrenti, trasse le prime conclusioni. Queste: gli eventi catastrofici tirano fuori dall’umanità il meglio. Non è vero che si reagisca istericamente. La solidarietà prevale sul conflitto. La società diventa più democratica. Svaniscono, almeno temporaneamente, le diseguaglianze e le distinzioni di classe. Si soffre e si lavora insieme. I governi e le burocrazie che si impongono di essere rigidi e non improvvisano mai restano spesso senza timone. Sorgono allora organizzazioni spontanee di cittadini, una sorta di risposta civica immune al male. Ci si trova più vicini al senso delle cose e di se stessi. In tempi normali si soffre da soli, l’esperienza della vulnerabilità ci emargina e ci fa sentire discriminati e risentiti nei confronti di chi è risparmiato. Il disastro accomuna, sbuccia la superficialità, lascia l’essenza. A chi gli chiedeva perché si tende a pensare il contrario di quanto dimostrato dalle sue ricerche, Quarantelli rispondeva: “È difficile accettare che la bontà sia la normalità, è una verità troppo rassicurante”.
Lo studio di Enrico Quarantelli fu sostenuto dal Centro di ricerca disastro della Ohio State University, che nacque su sua intuizione e godette della sua guida. In uno dei suoi articoli più importanti venivano illustrate le differenze tra emergenze, i disastri e le catastrofi e il modo con cui in queste situazioni le persone reagivano. Differenze cruciali che a suo avviso dovrebbero svolgere un ruolo e fare la differenza nelle attività di pianificazione e gestione dei gruppi crisi e dei piani organizzazione per fronteggiare quelle crisi. I disastri, per Quarantelli, differiscono dalle emergenze individuali di tutti i giorni poiché colpiscono gruppi assai più vasti che, assieme, perdono la loro relativa indipendenza, l’autonomia e la libertà d’azione. Sembrerebbe scritta per questi giorni l’analisi di Enrico Quarantelli.
I disastri, come prospettato da Quarantelli nei suoi studi, richiedono un cambiamento radicale dei modi di fare più diffusi e consolidati. Mettono in crisi le abitudini per sottostare le nuove esigenze indotte da ciò che è accaduto. Un vero e proprio ribaltamento della separazione tra ciò che viene visto e vissuto come pubblico e ciò che, invece, poco prima apparteneva solo alla sfera privata e come tale veniva vissuto.
Un’altra caratteristica che accomuna ogni disastro, come si palesò agli occhi del sociologo americano di chiare origini italiane nei suoi viaggi dentro fenomeni disastrosi, fu la constatazione che l’evento catastrofico cadenza il tempo dopo di esso che impone a tutti coloro a cui l’evento ha fatto danno. La difficoltà di tornare da subito alla loro normale routine, la richiesta di un tempo lungo che corrisponda al periodo di recupero. In scenari così la maggior parte delle funzioni della comunità di tutti i giorni viene interrotta a causa di ingenti danni ad infrastrutture o per la carenza di forniture o, come oggi sotto emergenza coronavirus, per la necessità di restare chiusi in casa davanti alla minaccia concreta di un contagio che è globale. In queste condizioni, osserva Quarantelli, il genere umano, è chiamato a privilegiare il destino che accomuna. Mette mano all’universo d’empatia che, in condizioni normali, viene messo spesso a tacere per privilegiare gli aspetti della competizione, dei naturali antagonismi. Che non possa accadere lo stesso in questa inedita esperienza globale che ha già cambiato la vita di milioni di persone? Sapremo presto.