di francesco de rosa |
Mio caro umano, se umano si può dire, io ti scrivo da una delle strade dove sono stato da te abbandonato, poche ore fa. Appena qualche giorno dopo essere nato, assieme ad altri cani come me: fratelli a me, oppure sorelle nati dallo stesso grembo che genera da secoli la stessa nostra specie. Siamo nati da poche ore eppure ci è bastato così poco per capire come sei. Tu sei quello che fa le battaglie civili. Che parla d’amore, di verità e poi fa la guerra e dice bugie tutte le volte che può. Che crede in Dio e si mette in vetrina sui social quando fa una preghiera o quando distingue il bene dal male. Ma resta incapace di essere coerente o praticare la fedeltà di un sentimento e della stessa amicizia che tu decanti senza sapere. Tu sei quello che fa le guerre e stringe dentro la stessa sofferenza i suoi simili: nemici, avversari, vecchi amici. O, persino, quelli che poco prima hai provato ad amare. Tu parli per ore ma sei capace di non dire niente. Tu sei quello di cui mi avevano parlato quando ancora non ero sullo stesso mondo dove nasci e agisci tu.
E ti scrivo da qui, senza sapere né parlare né scrivere come, invece, fai tu quando usi le parole senza nessuna prudenza. Io ti scrivo da questa terra disperata e dolente che geme e soffre ad ogni offesa che le fai. Quando ti accanisci su di noi o sopra i tuoi simili. O contro l’intero creato che ti dovresti custodire. Io ti scrivo restando in mezzo all’abbraccio che mi sono dato con i mie simili, cani appena nati come me e come me abbandonati come nulla fosse in mezzo ad una strada sconosciuta. Ti scrivo mentre resistiamo ad un destino beffardo e ci stringiamo gli uni con gli altri in un solo, unico, ineffabile cerchio per per opporci alla morte prematura davanti alla quale ci hai messo tu. E se mi chiedi chi dei tuoi simili ci ha abbandonato in mezzo a questa strada polverosa e rovente di questa estate calda e solitaria non potrò risponderti.
Guardali i nostri occhi! Dentro ci trovi tutte le parole che tu usi per i tuoi interessi personali. Per dire tutto ed il contrario di tutto senza nessuna fedeltà. Ci passiamo la vita dentro i nostri occhi. E con quelli sappiamo implorarti, amarti, farti ringraziamento per ciò che di buono riesci a fare per noi. Così ci trovi il dissenso, lo smarrimento, la paura dentro i nostri occhi quando, invece, sei incapace di amare come accade a noi di amarti. Io ti scrivo nello stesso anno in cui hai vissuto l’esperienza della pandemia che ti ha chiuso in casa per la paura di non morire assieme a tanti tuoi simili molti dei quali sono morti soli dentro un letto d’ospedale.
Avevo sperato per questo motivo che questa estate non avresti mai più abbandonato nessuno di noi. E, invece, accade. E accadrà ancora. Tuttavia io, come ogni altro cane che verrà al mondo in mezzo alle cose dentro le quali vivi tu, saremo di nuovo pronti a perdonarti affinché quel perdono sia il segno più profondo di ciò che ci distingue da te. E saremo, nel caso in cui il tuo abbandono non ci farà morire, pronti di nuovo ad amarti, A rincorrere l’auto con la quale ci hai abbandonato. A fare chilometri per arrivare da te. O aspettare ore davanti al portone della casa dove tu vivi o sei andato a lavorare. Ma se, per caso, ti capiterà sotto sguardo questa lettera tu leggila con attenzione e falla leggere ai tuoi simili affinché nessuno mai rifaccia ciò che accade ogni giorno in tanti posti del mondo.
Ti sarò grato se lo farai anche a nome di tutti i miei simili a cui potrai evitare la stessa assurda sorte che sta toccando a noi.
Tuo, Jack. O come tu vorrai chiamarmi.