Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene…
Il tema del bene e del male è antico quanto il mondo. E a “scomodare”, soprattutto oggi, una contrapposizione che tocca ogni luogo del nostro agire umano è ardua impresa. Sta di fatto che se ne dibatteva sin dal principio della presenza umana sopra il pianeta che abitiamo. Ci sono mille tracce e tante “soluzioni” tra gli orizzonti di fedi più antiche e politeiste come tra quelle, più attuali, dei tre monoteismi.
Ci sono le parole della filosofia che l’antica Grecia ha lasciato al mondo. C’è la più moderna psicologia che scandaglia l’inconscio di cui già parlava Platone tanto da ispirare Freud. Ci sono le soluzioni metafisiche allo scontro tra il bene e il male che troviamo in tutte le religioni come nei percorsi new age e nell’antico buddismo. E poi c’è la Bibbia che già nel vecchio Testamento, con Isaia 5, 20-25, ci mette in faccia ciò che oggi, molto spesso, non vogliamo più vedere tanto abbiamo mescolato i toni del bene a quelli del male e viceversa. Diventa sempre il bene ciò che è utile a noi. Tutto quello che ci porta vantaggio trova in noi un posto centrale. Eppure quei versi stanno là ad indicarci ciò che accade oggi nella politica di ogni contrada, nell’agire degli uomini, nel racconto dei tanti revisionismi storici di cui siamo capaci. Nella capacità di mutuare a nostro vantaggio una verità che verità non è dichiarando “bene” ciò che poco prima avevamo dichiarato come “il male”. Nulla a che fare con la capacità e la libertà di poter cambiare idea se comprendiamo meglio e di più ciò che prima non avevamo capito fino in fondo. Qui, accade soprattutto in politica ma non solo, conta solo quel che ci conviene. La differenza tra il bene e il male non esiste più e si cambia idea solo per convenienza, calcolo, interesse di parte, vantaggio immediato.
Eppure Isaia è chiaro. «Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre, che cambiano l’amaro in dolce e il dolce in amaro. Guai a coloro che si credono sapienti e si reputano intelligenti. Guai a coloro che sono gagliardi nel bere vino, valorosi nel mescere bevande inebrianti, a coloro che assolvono per regali un colpevole e privano del suo diritto l’innocente. Perciò, come una lingua di fuoco divora la stoppia e una fiamma consuma la paglia, così le loro radici diventeranno un marciume e la loro fioritura volerà via come polvere, perché hanno rigettato la legge del Signore degli eserciti, hanno disprezzato la parola del Santo di Israele.»
Dal profeta Isaia alla filosofia per un ritorno sulle questioni lasciate irrisolte sul tema della verità e, questa volta, del relativismo, la “malattia” che affligge tutti coloro che guardano la storia a proprio piacimento e ci trovano quello che vogliono cancellando dalla storia quello che credono dannoso per i loro principi, il loro credo, i loro interessi di parte. Se n’era accorta la filosofia del Novecento che il revisionismo era il modo con cui si è scambiata, su tanti accadimenti, la verità con la bugia, il bene con il male.
“Un tempo – ha scritto a proposito Roberto Calasso – i filosofi usavano partire dall’evidenza, che ormai è fuggita fra gli unicorni. Resta l’opinione: dominatrice di tutti i regimi, senza profilo, in ogni luogo e in nessuno, l’eccesso della sua presenza è tale da consentire soltanto una teologia negativa. Caduto il reggimento divino e svilito il vicariato della metafisica, l’opinione è rimasta allo scoperto, come ultima pietra di fondazione, a coprire folle di vermi, qualche iguana e pochi, antichi serpenti”.
Una “dottrina” per nulla nuova quella del cosiddetto relativismo, (se si pensa ai sofisti dell’antica Grecia) molto seducente ed oggi molto pericolosa. Dacché in essa non esistono verità. Per essa ogni ideale si equivale. E ognuno ha il diritto di seguirlo senza alcun vincolo. Dal che deriverebbe automaticamente il rispetto assoluto per tutte le idee degli altri, la rinuncia ad ogni tentazione di cercare e difendere un’unica verità storico, scientifica o cronologica. Si tratta del cuore della mentalità “relativista” all’apparenza la più pluralista, la più utile ma, di fatto, la più perniciosa poiché in essa si nasconde nel profondo tutta la carica aggressiva che vuole coprire la sua banalità e la superficialità di cui è portatrice. La sua tesi principale è chiara e centrale: l’unica bussola dell’agire umano – nella sua sfera personale – dovrebbe essere “fa’ ciò che desideri” senza nessuna riflessione seria sul bene oggettivo della persona. Una tesi che sembra salvaguardare la libertà individuale, ma non che non solo non dà risposta al naturale desiderio di felicità e di infinito dell’uomo. Essa, ed è ciò che più conta, rende del male e del bene un’unico miscuglio. Nulla è più vero e nulla è più male. Entrambe le dimensioni dell’agire umano hanno la stessa valenza, la stessa dignità.
Nessuna cosa più del miscuglio tra verità e bugia, tra bene e male è più piaciuto e piace alla politica di tutti i livelli. La politica, che per sua natura cerca solo il consenso/voto, non può che scambiare il male con il bene. Per essa nulla è bene e nulla è male in assoluto. Ma soprattutto tutto si trasforma con la stessa foga delle parole dette un anno prima utili ad essere smentite, dagli stessi, un anno dopo. Così la società contemporanea paga il prezzo altissimo dei tanti che scambiano il bene e con il male, la verità con la bugia. E magari non hanno mai letto Isaia. Chi sarà mai per loro questo tale che prefigurava orizzonti cupi per chi confonde il bene con il male?
(Nel video che segue una riflessione sul relativismo di Guido Giacomo Gattai)