Martedì 3 novembre l’America manda a casa Trump e inizia l’era Biden
Negli ultimi quattro anni alla guida degli Stai Uniti d’America Trump ha fatto grandi danni ovunque. All’ambiente, alla capacità di dare all’America un volto comprensibile e capace di ispirare al meglio anche gli altri. Disse, esordendo nel suo primo discorso ufficiale, il peggio degli slogan di destra: “America First”. Trump arrivò alla Casa Bianca sotto l’onda populista che pervadeva il mondo da molti lati. Lui, populista per eccellenza e, soprattutto, bravo a barare e a dire bugie come molti politici. Quattro anni dopo il mondo è totalmente cambiato e ancora di più sta cambiando sotto gli effetti del Covid-19. Così se agli inizi di giugno scorso Joe Biden, suo avversario democratico in queste elezioni era stato il primo a presentare il proprio ‘Climate plan’, con la previsione di un investimento da 1,7 trilioni di dollari, gli obiettivi di un eventuale nuovo e secondo mandato di Trump resterebbero esattamente quelli già presentati nel 2016 e cioè la conferma dell’uscita degli Usa dal Trattato di Parigi e la definitiva cancellazione del ‘Clean power plan’. In questo modo il danno farebbe altro danno. Trump intanto ha tolto lo status di area protetta alla foresta nazionale Tongass, in Alaska, la più grande del Paese e una delle maggiori foreste pluviali al mondo, che per oltre la metà territorio (nove ettari su 17 rimasti protetti per circa vent’anni). Questa foresta ora è aperta a tutte le attività boschive che potrà farne ciò che vuole. È stato l’ultimo “regalo” all’ambiente.
Intanto Joe Biden ha preso impegno ufficiale e pubblico affinché l’America possa uscire dalla “stagione buia, di rabbia e divisione” come lui stesso l’ha definita in cui l’ha fatta precipitare Donald Trump. Biden promette di far uscire “il meglio” da ciascun americano. Il discorso fatto nel momendo in cui ha accettato la nomination alla Casa Bianca chiudendo così la convention democratica, Biden volle presentarsi come il candidato che potrà riunire il Paese e guidarlo fuori dall’epidemia di Covid, dalla crisi economica e dalle tensioni razziali. «L’attuale presidente ha suscitato la rabbia americana per troppo tempo, troppa rabbia, troppa divisione – ha detto -, vi prometto che se mi affiderete la presidenza, susciterò il meglio da voi non il peggio. Guiderò nella luce, non nelle tenebre. È arrivato il momento per noi, come popolo, riunirci. E non sbagliatevi, noi possiamo superare e supereremo questa stagione buia in America. Noi sceglieremo – ebbe a dire – la speranza sulla paura, i fatti sulla finzione, la giustizia sul privilegio”. «Per quanto io sia il candidato democratico – disse ancora con un forte messaggio bipartisan – io sarò il presidente degli americani. Lavorerò per quelli che mi sostengono, e con lo stesso impegno per quelli che non mi sostengono, questo è il lavoro del presidente, rappresentarci tutti, non solo la propria base o il proprio partito». Su Trump, fu chiaro. Egli è ‘reo’ di “non avere dopo tutto questo tempo un piano” contro il Covid 19; «Il presidente continua a dirci che il virus scomparirà, continua ad aspettare il miracolo. Ma il miracolo non viene. La nostra economia è a pezzi, con le comunità afroamericane, ispaniche, asio americane e nativo americane che hanno il maggior peso». «Bene, io ho questo piano – aggiunse – se sarò il vostro presidente in un giorno renderò operativa la strategia nazionale che ho presentato sin da marzo. Svilupperemo e distribuiremo i test rapidi a risultati immediati produrremo equipaggiamento medico e di protezione di cui abbiamo bisogno». «Lo produrremo qui in America – sottolineò in quella occasione, lanciando a Trump una sfida dentro il suo stesso alveo all’insegna del motto “America First” – così non saremo più nelle mani della Cina o altri Paesi stranieri per proteggere la nostra gente».
«L’America è pronta a posare finalmente il pesante carico dell’odio ed iniziare il duro lavoro per sradicare il nostro razzismo sistematico”, disse ancora Biden, affermando che «forse l’omicidio di George Floyd è stato un punto di svolta, forse la scomparsa di John Lewis ci ha ispirato». John Lewis è stato il deputato afroamericano leader del movimento dei diritti civili morto nelle scorse settimane. Oltre i discorsi stessi che Biden ha potuto condividete in questa difficile campagna elettorale, i cui sondaggi di queste ore dicono sia avanti in diversi Stati cruciali, a poche ore dal giorno del responso, c’è il racconto di un’America stanca che in molti che la vivono dal di dentro o la osservano con attenzione dall’esterno, condividono. L’America è stanca, appare disillusa e non più disponibile a farsi incantare dalla retorica populista né dalla non più mascherata schizofrenia con cui Trump l’ha guidata in questi quattro anni. L’impegno di tante figure di grande riferimento negli USA, di artisti, intellettuali e politici come l’ex presidente Barak Obama, ha dato la sveglia a tanti americani. Martedì 3 novembre, se tutto va bene, l’America manderà a casa Trump e sarà una nuova stagione per una delle nazioni cruciali nel mondo su tutti i temi che contano di più nelle dinamiche internazionali.