Per la sentenza di Corte d’Assise la strage di via D’Amelio a Palermo è stato «uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana». Si tratta, secondo quella Corte, della strage di mafia che più di ogni altra solo di mafia non è. A 29 anni dall’esplosivo che fece saltare in aria Paolo Borsellino e i cinque poliziotti che erano con lui quella domenica d’estate – Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina – sappiamo tanto e poco. L’Associazione “Cosa Vostra” non si dà tregua. Mette in rete tutti i passaggi cruciali che riguardano il processo Borsellino quater, come gli altri prima, e si adopera affinché altri media (primo fra tutti il quotidiano “Domani”) possano tenere alta l’attenzione alla ricerca della verità. Accade così che dal passato possano emergere frammenti di verità (anche se con molta fatica). E che, inchiesta dopo inchiesta, processo dopo processo si possa meglio capire. Di sicuro è accertato che «soggetti inseriti negli apparati dello Stato» indussero il pupo Vincenzo Scarantino a rendere false dichiarazioni, già preconfezionate. Si sa anche che su invito del procuratore capo di Caltanissetta Giovanni Tinebra parteciparono alle indagini agenti dei servizi segreti guidati da quel Bruno Contrada che, qualche mese dopo, sarebbe stato arrestato per concorso esterno in associazione mafiosa. Si sa inoltre che l’obiettivo del massacro, il procuratore Borsellino, non fu mai ascoltato dalla magistratura che investigava sulla strage di Capaci durante quei cinquantasette giorni che separarono la sua uccisione da quella dell’amico Giovanni Falcone. Poi, su tutti e tutto, in mezzo a quella strage, c’è il mistero della borsa scomparsa e dell’agenda rossa per la quale il fratello di Paolo Borsellino, Salvatore, sta portando avanti una battaglia di civiltà e di giustizia.
E così per tasselli di verità, 29 anni dopo quella strage, era di domenica 19 luglio 1992, mentre si diradava il fumo, si potevano notare quattro o cinque persone, vestite tutte uguali, in giacca e cravatta, che si aggiravano nello scenario della strage, anche nei pressi della predetta blindata: si trattava, a dire del teste, di appartenenti ai Servizi Segreti, alcuni dei quali conosciuti di vista da Maggi e già notati a Palermo, presso gli uffici del Dirigente della Squadra Mobile, anche in occasione delle indagini sulla strage di Capaci (come detto, la circostanza, prima della deposizione dibattimentale era assolutamente inedita, nonostante le diverse audizioni precedenti del teste, in fase d’indagine preliminare). Francesco Paolo Maggi, è stato Sovrintendente della Polizia di Stato, in servizio alla Squadra Mobile di Palermo. Il poliziotto fu uno dei primissimi rappresentanti delle forze dell’Ordine ad intervenire in via D’Amelio. Arrivò sul posto, con il funzionario di turno (dottor Fassari della Sezione Omicidi), con l’automobile di servizio (fondendone il motore), appena una decina di minuti dopo la deflagrazione. Al momento del suo arrivo, il poliziotto notava l’Agente Antonio Vullo, unico superstite fra gli appartenenti alla scorta del dottor Paolo Borsellino, in evidente stato di shock, seduto sul marciapiede, con il capo fra le mani. Il poliziotto, dunque, confidando di poter trovare qualcun altro ancora in vita, si faceva strada fra i rottami, entrando nella densa colonna di fumo che avvolgeva i relitti, mettendo un panno bagnato sul naso. Purtroppo, era subito evidente che non c’era più nulla da fare, né per il Magistrato, né per gli altri colleghi della scorta: i corpi, infatti, erano tutti carbonizzati ed orrendamente mutilati. I resti del dottor Paolo Borsellino erano riconoscibili solo dai tratti somatici del viso e dai baffi. I resti di Claudio Traina erano finiti addirittura sull’albero rampicante che si trovava all’ingresso dello stabile di via D’Amelio, mentre Eddie Walter Cosina era carbonizzato dentro l’automobile. I resti di Emanuela Loi erano riconoscibili unicamente per un seno rimasto intatto, mentre i resti delle altre due vittime della Polizia di Stato, vale a dire Agostino Catalano e Vincenzo Li Muli erano irriconoscibili.
Il Sovrintendente Maggi si metteva alla ricerca di eventuali tracce o reperti, anche scavalcando un muretto di recinzione posto alla fine (del lato chiuso) della via D’Amelio. Nel frattempo, le ambulanze prestavano i soccorsi ai feriti ed i Vigili del Fuoco spegnevano i focolai d’incendio. Uno di questi interessava proprio la Croma blindata del Magistrato.
Nelle prime e concitate fasi successive all’esplosione un vigile del fuoco, non meglio identificato (dell’età di circa quarant’anni), seguendo le disposizioni di Maggi, spegneva il focolaio d’incendio che interessava la Fiat Croma blindata, che aveva già lo sportello posteriore sinistro aperto. Il fuoco cominciava ad attingere anche la borsa che era all’interno dell’abitacolo, in posizione inclinata, fra il sedile anteriore del passeggero e quello posteriore. La borsa, bruciacchiata ma integra, veniva prelevata (quasi sicuramente) dal predetto vigile del fuoco, che la passava a Maggi. Nei pressi non vi era il dottor Giuseppe Ayala (pure notato e riconosciuto dal teste, prima di allontanarsi dalla via D’Amelio). Il poliziotto poteva constatare che la borsa era piena, anche se non ne controllava il contenuto all’interno. Maggi consegnava la borsa al proprio superiore gerarchico, rimasto all’inizio della Via D’Amelio (lato via Dell’Autonomia Siciliana) a comunicare, via radio, con gli altri funzionari. Quest’ultimo funzionario (trattasi del menzionato dottor Fassari della Sezione Omicidi) teneva la borsa del Magistrato fino a quando, ad un certo punto, rivedendo il sottoposto, gli ordinava di portarla subito negli uffici della Squadra Mobile (“Ancora qua sei? -dice- Piglia ‘sta borsa e portala alla Mobile”). Maggi così portava dentro l’ufficio del dottor Arnaldo La Barbera (dove entrava con l’aiuto dell’autista del dirigente), lasciandola sul divano dell’ufficio.
Di seguito, ecco uno stralcio della relativa deposizione, dalla quale risulta anche che la relazione di servizio sulla propria attività di polizia giudiziaria veniva redatta soltanto 5 mesi più tardi, su esplicita richiesta del dottor Arnaldo La Barbera ed unicamente in vista dell’audizione (pochi giorni dopo) del teste davanti al Pubblico Ministero di Caltanissetta, dottor Fausto Cardella: […]
P.M. Dott. GOZZO – Perfetto. E allora, la prima domanda che le vorrei fare, perché adesso vorrei che… lei già ha dato, diciamo così, una prima descrizione dei fatti come li ricorda. Io le volevo chiedere, ma è un dato, diciamo, che salta agli occhi: questa nota ha una data, che è quella del 22 dicembre del 1992, stiamo parlando del 21 dicembre 1992, stiamo parlando, quindi, di -mi scusi- cinque mesi dopo i fatti. Può specificare alla Corte per quale motivo venne fatta questa relazione (….) tutto questo tempo dopo?
TESTE MAGGI F.P. – …al momento poi io subentrai a far parte del gruppo di lavoro Falcone – Borsellino, che è stato instaurato. ‘Sta relazione non so perché non… non la feci al momento, l’ho fatta successivamente e la consegnai al dottor La Barbera personalmente, il capo della…
P.M. Dott. GOZZO – Ecco, infatti, questa è un’altra cosa che le volevo chiedere: la relazione è diretta al signor dirigente della Squadra Mobile sede. Ebbe una richiesta in questo senso da parte del dottore La Barbera?
TESTE MAGGI F.P. – Una richiesta in che senso? Mi scusi.
P.M. Dott. GOZZO – Una richiesta di redigere dopo tutti questi mesi, insomma…
TESTE MAGGI F.P. – Sì, magari lui si… si incavolò su questa cosa, dice: “Come mai ancora non l’hai fatta la relazione?” “Dottore, fra una cosa e un’altra mi… non l’ho fatta”, mi… mi giustificai così.
P.M. Dott. GOZZO – E si ricorda, appunto, quali erano i motivi per cui le venne chiesta la relazione? Si ricorda se in quei giorni…?
TESTE MAGGI F.P. – E perché dovevo essere sentito a… al tempo mi sentì il dottor Garofalo, mi pare, se non…
P.M. Dott. GOZZO – Il dottore Cardella.
TESTE MAGGI F.P. – Cardella, mi scusi, Cardella.
P.M. Dott. GOZZO – Quindi doveva essere sentito il 29 dicembre dal dottore Cardella. (…) Quindi fu questo il motivo.
TESTE MAGGI F.P. – Sì, sì.
P.M. Dott. GOZZO – E il dottore La Barbera lo sapeva, evidentemente, e quindi…
TESTE MAGGI F.P. – Sì, esatto.
P.M. Dott. GOZZO – …le chiese di fare questa relazione.
TESTE MAGGI F.P. – Sì. […]
I Vigili del Fuoco in via D’Amelio
P.M. Dott. GOZZO – Sì. Lei poco fa ha detto, appunto, che la prima cosa che ha fatto non appena è arrivato, prima di tutto ha visto i Vigili del Fuoco che già spegnevano…
TESTE MAGGI F.P. – Prima… prima mi accertavo che… di quello che era successo, se c’era ancora qualche… qualcuno che bisognava aiuto, che… subito dopo mi sono reso conto che per i colleghi non c’era… e per il dottore non c’era più niente da fare.
P.M. Dott. GOZZO – Ma erano già presenti i Vigili del Fuoco?
TESTE MAGGI F.P. – Mi pare… erano presenti, un’autopompa già era presente quando sono arrivato.
P.M. Dott. GOZZO – Quindi quando lei è arrivato, anche per collocare temporalmente, diciamo, il suo arrivo, erano arrivati già i Vigili del Fuoco.
TESTE MAGGI F.P. – Sì, un’autopompa me la ricordo benissimo. […]
P.M. Dott. GOZZO – Senta, e quindi dopo avere cercato, diciamo così, i colleghi e il magistrato che erano state vittime di questo fatto, lei che cosa ha fatto?
TESTE MAGGI F.P. – Sì, ho visto il… il vigile del fuoco che stava spegnendo l’auto, l’auto azzurra, presumo che era quella del magistrato.
P.M. Dott. GOZZO – Si ricorda dov’erano le fiamme? Cosa stava spegnendo?
TESTE MAGGI F.P. – Già era quasi spenta l’auto, perché già l’aveva domato.
P.M. Dott. GOZZO – Ricorda se la macchina era aperta o era chiusa?
TESTE MAGGI F.P. – Sì, la portiera era aperta.
P.M. Dott. GOZZO – Quale era aperta?
TESTE MAGGI F.P. – Sennò non potevo vedere la borsa.
P.M. Dott. GOZZO – Quale portiera era aperta?
TESTE MAGGI F.P. – Lato sinistro, lato di… del guidatore, posteriore… no, sinistro, sì.
P.M. Dott. GOZZO – Quindi non quello del guidatore, l’altro sarebbe quello di sinistra.
TESTE MAGGI F.P. – Sì, quello… quella dietro, la portiera dietro. (…) E scorsi la borsa. Gli dissi ai Vigili del Fuoco di indirizzare… siccome era fumante, quella borsa mi sembrò l’unica cosa che potevo recuperare.
P.M. Dott. GOZZO – Dov’era posizionata la borsa esattamente? Se lo ricorda.
TESTE MAGGI F.P. – La borsa non era posizionata come di solito uno entra in auto e poggia la borsa e la fa poggiare nello schienale; la borsa era riversa di mezzo lato tra il sedile anteriore e posteriore, come se fosse caduta la borsa, inclinata. […].
Negli uffici della squadra Mobile
P.M. Dott. GOZZO – (…) Senta, quindi poi, effettivamente,il vigile del fuoco bagnò la…?
TESTE MAGGI F.P. – Sì, sì, seguì le mie indicazioni.
P.M. Dott. GOZZO – Lei ricorda se la borsa era vuota, piena? Come le sembrava?
TESTE MAGGI F.P. – La borsa, sì, già mi è stata fatta più volte quella (…) La borsa era piena, sicuramente, e abbastanza pesante, perché questo me lo ricordo, va’, non è che… è normale che me lo ricordo. La borsa, sì, conteneva materiale all’interno.
P.M. Dott. GOZZO – Conteneva materiale all’interno. Lei ha avuto modo di aprirla?
TESTE MAGGI F.P. – No, non… non mi è passato, dottore, perché a me mi interessava nell’immediatezza, cioè, recuperare la borsa e quindi avvertire il funzionario che… del rinvenimento della borsa, e poi prodigarmi assieme agli altri a prestare sempre là assistenza a chi… C’erano persone che sgombravano, bambini, mi trovai con un neonato in mano, gente che urlava, si può immaginare le scene. (…) Una bambina di… di un paio di mesi, io l’avevo in braccio, l’ho portata all’ambulanza.
P.M. Dott. GOZZO – Questo prima o dopo la borsa? Se lo ricorda.
TESTE MAGGI F.P. – Dopo la borsa.
P.M. Dott. GOZZO – Dopo. E’ sicuro di questo?
TESTE MAGGI F.P. – Sì, perché poi fui avvicinato dal funzionario, dice: “Ancora qua sei? – dice – Piglia ‘sta borsa e portala alla Mobile“.
P.M. Dott. GOZZO – Quindi lei aveva avuto modo di interloquire sul fatto della borsa con il funzionario?
TESTE MAGGI F.P. – Sì.
(…)
P.M. Dott. GOZZO – E che cosa vi siete detti, diciamo, relativamente alla borsa?
TESTE MAGGI F.P. – Niente, e… di portare la borsa alla Mobile e consegnarla al… all’ufficio del dottore La Barbera.
P.M. Dott. GOZZO – Fu una disposizione del funzionario di non aprire la borsa e di portarla immediatamente in…?
TESTE MAGGI F.P. – No, non ci furono disposizioni in tal senso, ma a me non mi… non mi passava proprio per la testa di aprirla, non…
P.M. Dott. GOZZO – Sì. Senta, e una volta che lei poi si è… Quindi, se ho capito bene, mi corregga se sbaglio, la successione degli eventi, voi arrivate quando ci sono già i Vigili del Fuoco in operazione; lei prima vede i corpi, poi vede la borsa.
TESTE MAGGI F.P. – Sì.
(…)
P.M. Dott. GOZZO – Poi la bambina e poi Fassari le dice: “Ma ancora qua sei? Vai”.
TESTE MAGGI F.P. – Sì, sì.
P.M. Dott. GOZZO – A questo punto lei va via, quindi, diciamo, siamo all’incirca mezz’ora – tre quarti d’ora dopo l’evento, diciamo.
Altre testimonianze che non di rado son diventate deposizioni ufficiali, in questi anni, hanno reso altre versioni. Fra tutte quella di Felice Cavallaro che coinvolge nel suo racconto il giudice Ayala. “Ayala – disse – diede la borsa a un colonnello o a un maggiore”. Ma precisa: “Non era Arcangioli”
Nel corso dei vari processi sulla strage di via D’Amelio è entrata più volte il tema dell’Agenda rossa, nomi come quello di Vincenzo Scarantino e aspetti controversi come quello della presenza di uomini in “giacca e cravatta” sul luogo dell’attentato. Il quater sul depistaggio della strage di via d’Amelio vide imputati i tre poliziotti Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. In aula, a Caltanissetta, quando fu sentito Felice Cavallaro, giornalista agrigentino del Corriere della Sera, nonché uno dei primi ad arrivare quel pomeriggio sul luogo dell’esplosione, come già aveva riferito in passato in altri processi sulla strage. Cavallaro il 19 luglio ’92 era a casa sua, a Palermo, in attesa del giudice Giuseppe Ayala il quale doveva occuparsi della prefazione del suo libro, quando udì il “sordo boato” provenire da via d’Amelio. “Arrivai sul posto in moto massimo 15 minuti dopo l’esplosione”. “Al mio arrivo – ha raccontato – vidi una scena apocalittica. Inciampai anche su resti umani. La borsa non è mai stata trovata e chiaramente nemmeno il suo contenuto né la ormai famosa agenda rossa che Paolo Borsellino usava per annotare i suoi appunti. Ventinove anni dopo sono ancora in tanti ad usare il nome e l’impegno di Paolo Borsellino per “farsi luce”, vantare meriti che non si hanno e, persino, tentare di ripulirsi. Parlano di Paolo Borsellino e del suo sacrificio in tanti posti d’Italia, noti o sperduti, mafiosi, tangentisti, camorristi, criminali incalliti, politici mediocri, militanti conniventi di partiti fascisti o comunisti, giudici corrotti e tanta gente che non ha mai praticato la legalità. Di Paolo resta un discorso che custodisco e ripropongo da anni. Doveva essere un programma civile.