Ode ad un grande amico pianista, epicureista e comunitarista

In questa mia prima “ode ai miei amici” che mi accingo a scrivere (ne farò diverse perché l’amicizia è un caposaldo della Vita) il vissuto più recente che mi coinvolge mi propone un amico di cui ho molta stima. Uno con cui ho vissuto un momento recentissimo di condivisione che mi ripropone all’attenzione la sua umanità. Si devono sempre cercare i momenti di condivisione con coloro a cui siamo legati da lealtà ed amicizia. Ci si deve riuscire sempre a ritagliare qualche momento in mezzo alle cose che ci sovrastano: gli impegni, gli affanni, gli schemi, le notti insonni, le sponde brulle, le fatiche, l’insostenibile leggerezza dell’essere. Così come è accaduto ieri mattina in una di quelle occasioni che, di prima mattina, siamo riusciti a darci per un caffè, un cornetto integrale e senza lattosio, la condivisione davanti a qualche squarcio di reale.

Il mio amico pianista, in realtà, è stato nel corso della sua prima giovinezza anche e assai epicureista. Una vita molto agiata dentro un contesto di provincia (entrambi siamo nati nello stesso paese) dove ogni agiatezza o difficoltà faceva le classi, creava distinzioni, metteva alcuni al di sopra degli altri. Lui era lì, in mezzo alle condizioni migliori, senza nemmeno saperlo. Io ero altrove ad imparare dalla vita e dalla mia condizione altre e belle cose. Non ci saremmo mai incontrati se la Vita (quella vera, quella che nessuno esclude, nessuno mette sopra gli altri) non avesse fatto il suo corso. Fernando (o Girolamo come pure è scritto sulla sua carta d’identità) è nato quattro anni prima di me e i suoi studi, quelli da lui scelti con amore e non subiti per “disciplina” di famiglia, si sono orientati verso la musica, il componimento, il pianoforte. Oggi è senza dubbio uno degli esponenti più bravi ed originali della musica di frontiera. E non solo. Abile esperimentatore di mondi classici e di altri saperi a lui non direttamente legati. Ma più che lodare le sue indubbie qualità di musicista, i riconoscimenti che ha ottenuto, l’amore con cui dona il suo sapere agli studenti degli studi superiori, io tesserò un elogio del tutto informale – come saranno tutte le altre mie Odi agli amici che qui farò.

Tutti i miei veri amici sanno che i blasoni, le referenze (o autorefenze che mi capita di ascoltare), i titoli accademici o acquisiti non hanno mai fatto presa su di me. Loro avranno sicuramente fatto caso che scrivo sempre il mio nome ed il cognome in minuscolo e senza nessun titolo accademico. Non è mai stato un caso. Loro sanno che sono miei amici perché ho visto in loro qualcosa di diverso rispetto al ciarpame solito che è nelle azioni della nostra specie, nel convenevolo, nel modo consueto di guadare le cose, nella inclinazione a pesare le persone, ai fare qualsiasi tipo di gerarca, di classifica, di votazione sempre a danno degli altri e a favore di se stessi. Loro sanno anche che se c’è qualcosa che non ho mai amato fare è “sottroscrivere elogi stupidi”, “dare consigli a qualcuno”, “avere voglia di dare lezioni”, “fare arrivare messaggi criptati” per condurre a ravvedimenti altrui su cui è saggio non dire alcunché.

Ritengo, infatti, che nessuno sia in grado di dare consiglio ad un suo simile, nemmeno sul colore delle prossime scarpe da comprare figuriamoci sulle scelte di vita più o meno importanti, sulle cose che uno ama o persegue. Un amico si ama così com’è. Senza la voglia di condurlo a sé, senza la volontà di “catalogarlo” in capo a qualche voce dello schema stupido e personale a cui ciascuno di noi fa sempre riferimento anche quando lo nega. Sarò stato, in questo, di sicuro nauseato dal clima del paese d’origine dove, oggi più di ieri, il “plotone” silenzioso ma presente (e molto diffuso sui social) di concittadini idioti che commentano, come fossero veri guru, con sufficienza e saccenza, le vite altrui, le “carriere”, il carattere umano, i difetti, i percorsi esistenziali e di lavoro, i risultati raggiunti dai loro concittadini. Un luogo da farti voltare lo stomaco se non fosse anche la culla delle persone e delle cose che impari ad amare di più: i tuoi cari, i tuoi luoghi, i tuoi figli, i tuoi veri amici.

Fernando è, tra questi, sicuramente colui che merita questa mia “lode”. Lode alla sua ironia, alla sua enorme sensibilità, alla sua fragilità, alla sua fede cristiana, alla sua giovinezza vissuta “epicureando” al pari mio, alla consapevolezza che, man mano, negli anni in lui è cresciuta sempre di più, di rifiutare certi stilemi molto provinciali, certi scranni, certe inutili primazie, certe insopportabili autoreferenze. Consapevolezza a non rivendicare alcun primato, a percepirsi e  sentirsi fragile o, più ancora, un “nulla” come tutte le cose grandi della vita.

Nessuna competizione, nessuna voglia di primeggiare nella società, nel lavoro, a scuola, nessuna volontà di fare delle proprie eredità un punto di vantaggio sugli altri o delle proprie competenze uno stile d’arroganza. Anzi. Fernando ha rifiutato certi privilegi, quelle scorciatoie sociali e professionali anche quando c’era, a portata di mano, qualche amico di famiglia o, persino, qualche familiare stretto che poteva adoperarsi per un sui vantaggio così come è accaduto e accade nello stile tipico delle peggiori pratiche italiane della raccomandazione, dei privilegi, dei concorsi o delle gare truccate, a esclusivo favore dei pochi. Fernando si è messo nei “panni” dei molti, nei “pensieri” della gente che ha bisogni primari, che ha molto meno di lui, che non ha certezze, che non ha lavoro. E pur se solo immaginando, essendo la sua condizione di vita certamente agiata, ha voluto guardare il mondo accanto a loro con la voglia di aiutare qualcuno quando è possibile, di fare qualcosa a favore degli altri senza che nulla si sappia.

Generoso, leale, fin troppo ostinato verso certe idealità, controcorrente, comunista, dapprima e oggi “comunitarista”, “agitatore culturale” come lui stesso ha amato definirsi, in un contesto dove la cultura è spesso e solo un surrogato. Egli paga, come me, l’inclinazione atavica di esser nato in un posto di provincia dove non c’è nessuna consapevolezza comunitaria, nessun vero e vissuto senso di comunità. Qui, al contrario, ci si osteggia, si creano “distinguo”, si screditano tutti gli altri per un proprio vantaggio personale senza “riconoscere” nessuno, senza dare a nessuno i meriti che ha, le qualità, le valentìe. Vive qui il principio dell’esclusione, del protagonismo che non ammette inclusioni, dell’avocare a sé ruoli, ambiti, visibilità, progetti, iniziative. Fernando vive, come me, in questa giungla umana facendo della “(r)esistenza attiva” un percorso possibile. E si danna ancora quando crescono intorno a noi pratiche del tutto incivili di costumi sociali e abitudini sbagliate: il chiasso per strada, l’immondizia che deturpa l’ambiente, la tangente, l’illegalità, l’auto in doppia fila, l’assenza di senso civico che è anche assenza di rispetto per gli altri, i falò illegali. il rumore dei fuochi d’artificio a notte fonda.  Sono le cose che fanno dell’habitat vesuviano uno dei peggiori al mondo.

Per fortuna c’e altro, caro Fernando. Questa lode, per esempio, che ti coglie in un momento della vita dove “il più bello” avrebbe detto Hikmet, deve ancora venire a patto che in te non prenda il sopravvento il buio di questo mondo, la nostalgia, la tristezza, il pensiero che il più sia fatto. Tu sai che “il più” non è fatto. Dopo 92 anni di vita vissuta, Rita, quella nostra amatissima amica dai capelli tutti bianchi, bellissima ed arguta, disse che “si stava molto impegnando per diventare bambina”. Così se il senso di ogni vera cultura ha senso è bene non creare deserti. La cultura è bellezza, è inclusione, è amore per gli altri, per il proprio ambiente, per la musica e le foglie, per la notte fonda ed il primo mattino. La cultura è vita e non è mai opposizione, ostilità, differenza se il comune obiettivo è un mondo migliore, più bello e più civile. Per questo ritengo che la nostra amicizia merita ogni lode. E se assieme riusciamo a dare speranza, la forza, un progetto, un orizzonte di vita a coloro che vivono attorno a noi, a chi ci conosce, a chi non ha più forza, più speranza, più voglia di fare belle cose, la nostra amicizia merita più lode ancora. Non sarà importante come, dove o quante volte saremo animati e spinti dalla cultura o dalla bellezza a fare qualcosa di più. Importa che si facciano belle cose, che si “onori la vita e l’amicizia”, quella vera e non quella che si “pubblica” con superficiale rapidità sui social per finta o convenzione.

Io e te amiamo, da molti anni, essere amici veri e anche quando la nostra amicizia ha incontrato o incontra difficoltà dialettiche o punti di vista divergenti sappiamo che ciò che ci unisce è più di ciò che ci divide. Noi sappiamo che negli ultimi anni abbiamo perso un amico di grande valore che era con noi, che gioiva con noi, pativa con noi, combatteva con noi e viveva questo nostro stesso tempo e tante sue stagioni (come quella indimenticabile del giornale il Cittadino) testimoniando la bellezza e l’impegno dello stare al mondo. E sappiamo anche che onorare la sua vita, ora che la sua vita non è più in un corpo fisico, va fatto ancora di più, ancora meglio. Abbiamo il compito di fare delle nostre (r)esistenze qualcosa di bello, di non aspettare semplicemente che qualcosa di brutto possa accadere. Noi il buio dobbiamo vincerlo con la Luce, l’odio con l’amore, lo scoramento con la bellezza della Vita.

Questa mia prima “lode ai miei amici” venga a te come segno tangibile di un legame che mi onoro di avere. Riconoscente alla vita che ha posto sui miei passi la tua sensibilità, il tuo volto, il tuo stile, la tua storia di vita. L’amicizia è il legame più bello che possa unire gli uomini.

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