
La notizia della morte di Francesco Bergoglio che nel lunedì dell’Angelo, il giorno dopo questa Pasqua 2025, mi ha colto di sorpresa. Fosse stato in un uno dei 38 giorni in cui era ricoverato al Gemelli avrei capito di più per la sofferenza di cui avevo letto, per l’insidia alla sua salute che i medici hanno dovuto fronteggiare. E invece no. Il giorno della morte nessuno può prevederlo. Ora che in molte parti ci si accorge del vuoto che ha lasciato la morte di Francesco Bergoglio riannodo ciò che per me quell’uomo ha significato dal 13 marzo del lontano 2013 quando è diventato il papa argentino di cui (confesso) nulla sapevo prima di quella elezione. Poi l’elezione, le sue prime uscite, i primi discorsi, il primo senso della sua direzione.
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Francesco è stato il papa che ha rivoluzionato molte “forme” e modi della Chiesa cattolica che è a Roma e in ogni parte del globo. Una Chiesa che, da sempre e per molti, esprime anche potenza, privilegio, agiatezza, sordità ai dolori del mondo, indifferenza alla povertà del pianeta, ritualità inutili, anacronismo, ricchezza, disagio per il clamore e gli scandali di certe sue vicende che non sono solo quelli che derivano dai preti pedofili o da quelli papponi che pure ci sono.
Francesco ha ridato vita alla Chiesa della povertà, quella degli ultimi, quella delle periferie. Un papa che è stato osteggiato ed odiato come pochi altri all’interno del clero (e non solo) al punto che più di qualche prelato in pessima compagnia di qualche pseudo filosofo rampante (vedi Fusaro) o giornalista (vedi Socci) che si è fatto bandiera del dissenso lo avevano definito persino antipapa. Oggi costoro stanno festeggiando. Ma il resto del mondo no! In quello io abito dal 13 marzo del 2013 con tanti altri e con la sensazione che la morte di Francesco lascia un grande vuoto. Bergoglio era contro la corruzione, quella delle mazzette vere e proprie e quella delle clientele, quella della giustizia che viene disattesa, dei modi di fare che si credono innocui e invece sono la radice di tutti i mali e di ogni illegalità. Un papa che ha denunciato l’ostilità e l’indifferenza verso i migranti che sono morti a migliaia in mezzo al mar Mediterraneo, “cimitero” per migliaia di migranti come lui stesso lo ha definito.
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Francesco era contro la Chiesa della ricchezza e delle comodità, quella che giudica e condanna i gay e i divorziati a cui nega l’eucarestia. Francesco era contro il disastro che si sta commettendo ai danni dell’ambiente, contro tutti quei gesti che inquinano ogni giorno il nostro pianeta. Francesco era contro i cattolici bigotti, quelli che entrano in chiesa per servirsene e lavarsi l’anima illudendosi di salvarsi da soli. Ma una volta usciti dalle chiese in cui pregano e si pentono sono peggio di chi si giudica sinceramente ateo e in chiesa non ci va mai. Uomo dai toni forti, dal carattere passionale, dalla capacità di indignarsi per tanti mali del mondo verso cui restiamo indifferenti. Pronto a condannare la guerra e le armi con cui vorremmo difendere la pace ma seminiamo guerra.
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Francesco voleva cambiare la Chiesa dall’interno ma il suo nobile intento ha trovato mille ostacoli e, persino, il rinvio ad ottobre delle conclusioni di un sinodo che aveva aperto lo scorso anno con grandi speranze per una Chiesa stanca, lontana dalla gente, autoreferenziale, deserta e disertata. Un sinodo nel quale voleva affermare la collegialità, l’inclusione, l’idea che la Chiesa è universale, che è davvero di tutti e non solo dei preti e dei vescovi o dei cardinali. Non solo dei paesi ricchi contro i poveri, dell’Occidente che dimentica i posti “lontani” del mondo. Sognava per essa misericordia e ogni accoglienza affinché tutti si sentano a casa nella vera Chiesa di Cristo che deve essere povera come i poveri del mondo.
Ho letto e sentito in questi anni dall’anno 2013 molte cose di immenso squallore contro il papa argentino da preti e vescovi che non hanno sopportato il suo modo di fare e di dire. Che non hanno accettato la sua elezione. Ma ho trovato anche parole di immensa stima condivise da un’altra parte di Chiesa che è militanza, servizio vero e non privilegio o potere. Ho visto preti, suore, vescovi e cardinali fare esattamente il contrario di quello che Francesco ha sognato possa fare un uomo e una donna che si professa credente. Ma anche gesti di immensa ispirazione che Francesco suscitava e auspicava. Ho incontrato Francesco diverse volte. L’ultima sul principio di febbraio di tre anni fa. A lui ho donato uno dei miei libri sul tema di Dio e delle fedi che scrissi sul finire del Novecento.
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Oggi resta tutto o niente perché di ogni cosa resta nulla se non appartiene a Dio. E se la morte è parte della vita entrambe verranno spiegate (esattamente come si “spiegano” le vele di una nave) soltanto da Dio che di quella nave è stato il costruttore. E, persino, del mare sul quale quella nave attraversa. Per la Chiesa, invece, il pericolo è quello che, essendo realtà mondana che viene insidiata anche, nel suo modo di stare al mondo, da logiche di potere assai più vicine alla politica (che per sua natura è sempre compromesso). Sicché temo l’elezione di un papa reazionario che voglia riportare la Chiesa di Cristo assai più vicina alla tradizione dei riti, del potere per il potere, della custodia di una ortodossia che può nuocere gravemente ad essa stessa e all’utopia di un mondo migliore dove chi crede e professa una fede deve essere credibile, coerente, trasparente molto più di prima. Potrebbe essere così o non essere affatto così perché agisce Dio in tutte le cose del mondo. Anche quando tutto sembra cupo, insensato, ingiusto, irreparabile. In questo caso potrebbe essere un altro mio libro scritto di recente e dal titolo provocatorio che ho regalato ad un prelato di cui si sta già dicendo possa essere il prossimo papa. Si chiama Matteo Maria Zuppi ed è un uomo di cui conosco alcune sue visioni di futuro e di Chiesa che condivido ed una disponibilità a continuare ciò che Francesco aveva appena cominciato.
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