Cristo morto, risorto e dipinto dai geni dell’arte di ogni tempo
Come quando nacque così quando è morto ed è risorto. Dipinto con la stessa foga da artisti e geni che vanno oltre le cose che vedono prima ancora di vederle. Lo troviamo sulle tele e le opere d’arti di ogni epoca e di ogni parte del mondo. Ricurvo, adagiato a terra, nelle braccia di Maria, davanti alla tomba vuota o e capovolta. Lo vediamo crocifisso e sofferente poco prima di morire assieme agli altri due di cui narrano le Sacre scritture. Lo troviamo in mezzo al cielo già risorto o davanti a Tommaso che gli tocca il costato. Ci sono le mani e i colori di Giotto, di Mantegna, di Ambrogio Lorenzetti. C’è Botero, i fiamminghi e le ombre di Caravaggio che depose nei suoi dipinti anche Pietro come era accaduto a Gesù. C’è l’arte medioevale e rinascimentale. Quella del Settecento e del secolo che lo seguì. Quella di oggi e del prossimo futuro.
La croce di Cristo, che fu supplizio di morte, è diventata icona di vittoria anche nelle opere che lo hanno dipinto. C’è anche la luce dell’immortalità lì dove Cristo trovò la morte e la risurrezione. C’è tutto il mistero del Cristianesimo nel triduo di Pasqua che i cristiani di tutto il mondo celebrano ancora e più o meno attenti in mezzo alla confusione del tempo moderno. Così distratto, così frenetico, così frastornato. Dentro riti che spesso chi li ripete ne avverte meno l’efficacia ma chi la ritrova, quell’efficacia, capisce che nulla, forse, è andato perduto. E forse siamo quelli di mille anni fa nel destino più più profondo. Mortali come loro e avvolti nel mistero nonostante le meraviglie del mondo di oggi.
Pasqua per un cristiano che vive per davvero dentro di sé la fede e il suo cammino è il momento più propizio. Si sta lontani dalla retorica del Natale, dagli orpelli dolciastri che la tradizione ci ha messo addosso. Pasqua è un lampo: minimalista, essenziale, ma quanto più cruciale (parola che trova la sua radice etimologica negli stessi luoghi semantici della croce) è avere il tempo di fare silenzio, di mettersi a pensare, di fare spazio a quella stessa svolta che venne con Cristo. Innocente, catartico, umano e divino, miracoloso ed esemplare, vittima ed artefice così da confondersi in mezzo alle trame della storia umana nella quale interagì dividendola in un “prima” e in un “dopo” come fosse cesoia, spartizione, distinzione del buio dalla luce, tra una morte, la sua, ed una resurrezione.
Eppure, più che la trama di un’omelia tutta confessionale che la morte e la resurrezione di Cristo a Pasqua può ispirare, mi appare molto più rivoluzionaria l’occasione di trovare una metafora, senza fede e senza religioni, nella morte e nella risurrezione di Gesù. La sua storia, anche e solo tutta umana, insegna molte cose. Quella divina rimane al mistero di cui è giusto non trovare prove ma pensare alle tante tracce che si leggono in ogni uomo o donna, in ogni storia umana come se fosse l’eco di una direzione verso la quale stiamo andiamo dopo quelli che già non sono più con noi e prima degli altri che nascono oggi.
Chi non ha fede l’avverte come un’inclinazione, la sintonia tra gli uomini e gli astri, la scoperta del karma, una sfida al nostro destino mortale. Può mai finire tutto così? E quale “strano gioco” poteva metterci al mondo come lo sono al mondo gli alberi, le stelle e gli animali senza prestabilire che tutto tende ad andare verso una direzione di luce, un epilogo di quella bellezza mai vista prima così com’è? E quale sadico fine ha potuto riservare ad ogni essere vivente il travaglio che hanno tutti i mortali (gli uomini, gli animali, le piante) che da quando nascono (nel travaglio) a quando muoiono (dentro in un altro e diverso travaglio) non trovano tregua né risposta alla domanda “perché siamo qui e dove saremo dopo”?
La Pasqua riassume tutti gli incubi e le beatitudini degli esseri umani. Le nostalgie, i ricordi, le attese. Propone una svolta che non può passare inosservata nemmeno a chi della fede non sa che farsene. Tendono alla chiarità le cose oscure. Una luce che si trova anche sulle tele di tutti gli artisti che hanno dipinto la morte e la risurrezione di Cristo. O nelle sequenze di chi ha voluto e saputo ripercorrere la sofferenza del Nazareno che per la storia tutta e troppo umana, nonostante possa contare su un “prima” e su un “dopo” resta un mistero: il mistero più grande!